Siamo o non siamo razzisti?

Pubblicato pure su www.politicamagazine.it

Il tema del razzismo italiano, grazie al pubblico e poco onorevole “contributo” di certi militanti della Lega, di cui noi liberali italiani non possiamo certamente essere fieri, purtroppo è improvvisamente tornato di attualità e riempie ormai con vergognosa regolarità le prime pagine della nostra stampa.  In questo contesto fa onore l’iniziativa di Tosi, sindaco di Verona, che pubblicamente chiede scusa per le scandalose manifestazioni di alcuni membri del suo partito. Per cui, vorrei rieditare con qualche piccola attualizzazione, un mio vecchio articolo pubblicato allora su di un altro sito liberale. Anche perché le tristi ed attuali tendenze danno ragione a quanto scrivevo nell’ormai lontano Luglio del 2005:

Sul sito www.legnostorto.com, in questi giorni si è riaccesa la solita polemica sulla delinquenza degli immigrati e trovo deplorevole che tutto un coro di intolleranti si manifesti indiscriminatamente contro gli stranieri che  – con il loro operato – vengono a contribuire al nostro benessere, così come i nostri connazionali, negli ultimi due secoli, hanno contribuito al benessere di numerose Nazioni nel mondo e, come avviene oggi da noi, dovevano subire scandalosi attacchi ed analoghe e ingiuste accuse in cui si faceva di ogni erba un fascio, senza le doverose distinzioni. Infatti, a sentire questi poco raccomandabili xenofobi sembrerebbe che tutti coloro che arrivano per occupare proprio i posti di lavoro meno ambiti dagli Italiani, dovrebbero essere dei malviventi, senza distinguere la maggioranza dei buoni dalla minoranza dei cattivi. Così, emettono sommarie sentenze che generalizzano casi isolati, attribuendo colpe a tutti coloro che hanno un altro colore della pelle, un’altra religione o parlano fra loro lingue straniere. Così, si formulano condanne frutto delle eterne umilianti discriminazioni che in passato hanno già colpito proprio i nostri esuli. Orbene, gli emigranti non sono tutti delinquenti, anzi, nella maggioranza dei casi si tratta di gente coraggiosa che espatria nella speranza di migliorare la propria condizione.

Del resto, la legge delle migrazioni è un’antichissima legge del tutto naturale che sopravvive da quando i primi umani sono usciti dall’ Africa per popolare il mondo e dai quali noi tutti discendiamo. Pertanto, opporsi a questo fenomeno è negare la stessa evoluzione naturale dell’umano processo evolutivo che ha generato il progresso sul nostro pianeta. E noi che non siamo razzisti, ci auguriamo che questi  movimenti non cessino mai perché tutti abbiamo qualcosa da dare e tutti qualcosa da imparare da chi proviene da altre zone perché portatori di conoscenze e di esperienze spesso ignote a chi li accoglie. Naturalmente, fra tanti emigranti c’è sempre chi non sa comportarsi adeguatamente e sovente non accetta norme e tradizioni vigenti nei luoghi raggiunti; cosa che nemmeno i nostri non hanno sempre saputo fare, isolandosi dal resto della popolazione ospitante o agendo fuori dalla legalità. Eppure, da noi, c’è chi dichiara che seppur in passato alcuni nostri connazionali, si siano distinti nella criminalità anche organizzata, non giustifica che oggi si permetta l’entrata nel nostro “paradiso” alle “mafie” altrui. Mi sento felice di non condividere certe convinzioni e non riesco ad identificarmi con chi osa fare certe ingenue equazioni. Infatti, si confonde un bene fondamentale con un banale male. Accogliere nuove forze di lavoro non significa accettare la mafia straniera; e non si tratta nemmeno di tollerare qualsiasi genere di delinquenza.

E’ evidente che chi commette delitti è soggetto ai rigori della Legge, e che questa dev’essere rigorosa con tutti i criminali, indipendentemente dalla provenienza, colore o religione. Se ci sono troppi delinquenti a piede libero, stranieri o italiani, dobbiamo in primo luogo puntare il dito sul nostro modello giudiziario che notoriamente funziona male; infatti, l’impunità non fa altro che stimolare i delitti.

E cosi, con l’impunità che impera, si affaccia nuovamente lo spettro del razzismo italiano. Non è un male nuovo, anzi, anche se da giovane mi avevano convinto che noi Italiani non eravamo razzisti: mio padre, Friulano tutto d’un pezzo, si arrabbiava se qualcuno avesse parlato male dei Napoletani o dei Siciliani; per lui i Meridionali erano il degno Popolo, erede della tradizione della Grande Grecia. Era un liberale, ma pure lui con certe restrizioni, perché dopo aver servito la Patria come volontario a 17 anni, durante il primo conflitto mondiale, dopo aver perso quasi tutto con la ritirata di Caporetto, nemmeno lui si liberava dei suoi vecchi sentimenti razzisti nei confronti dell’allora nemico.

Oggi, stempiato e con i capelli grigi, dopo aver girato parecchie volte buona parte del mondo, mi rendo perfettamente conto di come il razzismo sia – di fatto – un male congenito degli Italiani. Sono cresciuto in un ambiente dove gli Italiani discriminavano i Tedeschi per la loro cocciutaggine, mentre i Tedeschi discriminavano gli Italiani per il loro scarso “civismo”. Naturalmente, gli uni come gli altri, erano certi d’essere nel vero; io, avendo ereditato tanto la “cocciutaggine” come quell’ “incivismo” mi devo accontentare delle compensazioni che caratterizzano le due antagonistiche etnie: il sano senso tedesco del vivere in comune e quella utile creatività italiana. Certo, perché meravigliarsi? Ogni Popolo ha i suoi vizi, ma possiede anche le sue virtù.

A chi pretende negare la nostra inclinazione al razzismo, conviene ricordare che non siamo razzisti solo nei confronti degli stranieri, lo siamo da sempre fra noi Italiani stessi; e sull’ endemico astio che divide i Nostri delle diverse regioni ci sarebbero da scrivere molti capitoli; per nostra fortuna, tuttavia, su ciò che ci accomuna sono già stati scritti libri interi. Fatto sta che il razzismo italiano è sempre esistito, anche se travestito sotto forma di provinciale campanilismo. Purtroppo, nonostante la nostra storia ci abbia portato lontano nel mondo, non siamo ancora un Popolo cosmopolita; la lezione prodotta dalla comunicazione con altre culture, dalla convivenza con altre realtà e Popoli, sembra non aver ancora giovato abbastanza. Per questo siamo, quasi sempre, tendenzialmente incapaci di capire i valori altrui, mentre ci sforziamo a cercare i difetti di tutti con ostinazione, esaltiamo la nostra fittizia – ma indimostrabile – superiorità razziale, economica, civica, sociale e addirittura culturale. Ciononostante, consideriamo tutto ciò che è nostro sempre migliore, più bello, più intelligente e così via.

La più tipica delle discriminazioni che si manifesta nella nostra realtà quotidiana, ancora oggi, è quella che separa gli Italiani del Nord da quelli del Sud. Ma le nostre discriminanti distinzioni cominciano già da un grottesco primordiale provincialismo, tipico dei Popoli poco illuminati che non solo non apprezzano, ma avversano le diversità. Infatti, da una città all’altra, da una valle all’altra, abbiamo per secoli coltivato un antagonismo culturale  che sopravvive ancora oggi: sovente bastava la separazione di un ponte per alimentare le più odiose rivalità; e basta ricordare che le stesse accuse che i Settentrionali muovevano ai Meridionali, tanto per fare un esempio banale, erano mosse dal resto dei Veneti ai loro vicini Rovigotti. Ma le diversità non costituiscono sottrazioni, anzi, esse devono essere considerate somme; eppure, differenze di benessere costituivano da sempre buoni motivi per alimentare il disprezzo. La gelosia, l’invidia, il rancore e la nostra notoria vanità nutrivano, dunque, tali risentimenti. Ma le origini di questo male sono ben più antiche e ripercorrendo un po’ la storia di tutta la penisola, mentre perfino nella colta Toscana, si registrava tutta un compendio di eterne guerre fratricide, dove si arrivava al punto di dire che era meglio avere un morto in casa piuttosto di avere uno “straniero” (toscano) alla porta.

E la fama del razzismo italiano non si limita ai nostri confini politici, ma si estende fino ad altri continenti. Infatti, pochi sanno che in Brasile esiste una comunità di ben 25 milioni di oriundi Italiani: tutto il Sud del Brasile è al 50% di origine italiana (e 40% di origine tedesca), di terza a quinta generazione: sono trascorsi più di un secolo da quando sono arrivate le ultime leve, soprattutto dall’Alta Italia; ebbene, la comunità dei nostri oriundi, dove l’elemento italiano ancora si definisce “Taliàn grassie a Dio!” è quella che notoriamente più si ostina a distinguersi, sovente con alterigia, dalle altre comunità, anche se ormai le lingue ed i dialetti dei bisnonni, in pubblico, non si praticano più da qualche decennio.

Dunque, se è comprensibile che il razzismo nel nostro Paese affonda le sue radici in un lontano passato, sostenuto da un vecchia e consolidata, quanto deleteria tradizione quasi endemica, essendo da molto tempo parte integrante della nostra stessa cultura, oggi, niente giustifica questa detestabile quanto contaminante moderna onda razzista che ahimè, sembra allargarsi a macchia d’olio in modo preoccupante, soprattutto nei confronti degli attuali immigrati stranieri.

Io parlo da cosmopolita liberale e capisco benissimo che gli illiberali di turno la pensino diversamente. Tuttavia, e mi sembra che lo ammettano anche altri miei connazionali, i nostri esuli in moltissimi casi si siano dati da fare, partecipando al progresso dei Paesi che li hanno accolti; pertanto, è doveroso osservare che solo alcuni degli immigrati scelgono l’illegalità, mentre la grande maggioranza di loro contribuisce al progresso ed al benessere del nostro Paese ed anche di buona parte dell’Europa: sono arrivati alla ricerca di una propria esistenza migliore ed in questo intento partecipano pure allo stesso benessere generale, così come i nostri hanno contribuito, in questi ultimi due secoli, anche in modo onorevole e fondamentale, al progresso di Paesi come Brasile, Argentina, Stati Uniti, Canada, Australia, Africa del Sud, ma pure ai vicini Belgio, Francia, Germania etc. etc.

Questi Paesi, a loro volta, seppur nel proprio indiscutibile vantaggioso interesse, si sono dimostrati generosi nell’accogliere gli emigranti italiani, appunto, quando eravamo noi i poveri di turno e gli autori che hanno narrato la saga di quegli stessi avventurieri, descrivono bene come proprio i nostri, spinti all’avventura dalla speranza, dalla fame, dalla disperazione, frequentemente, risultavano poco istruiti e non raramente malaticci e con precedenti penali. Partivano sui treni e su bastimenti della speranza; e, come oggi molti Africani, non tutti giungevano a destino; molti si ammalavano in viaggio, altri trovavano la loro tomba nelle acque degli oceani, ancora prima di poter vedere le coste della loro terra promessa, o si consumavano nelle malsane miniere, ancora prima di poter baciare i propri figli non ancora nati. E questo ricordo non va e non deve essere mai cancellato, perché non solo si tratta di un ricordo di tragedie e di sofferenze, di grandi sacrifici, di lutti e di umiliazioni che ci hanno anche resi immensamente più degni: il dolore, lo sforzo, la fatica, il coraggio e soprattutto il merito è che rendono l’essere umano più degno, ed inoltre è necessario ricordare pure che questi esuli hanno creato spazio e ridotto la fame anche di chi rimaneva in Patria.

Un Popolo che non ha memoria non ha nemmeno storia; un Popolo che rinnega la propria storia o che non riconosce il proprio passato, non ha identità, non essendo nemmeno degno della propria appartenenza; è un mero ignaro apolide; e la storia non è solo fatta di conquiste e di successi, è costituita da eventi di ogni genere, anche di sconfitte e di sventure e sofferenze, dalle quali si apprendono più lezioni che dai successi. S’ingannano coloro che vorrebbero colorire la nostra storia solo con le glorie. La storia del nostro Paese non è solo quella dell’arte, della cultura e della scienza; delle bellezze e dell’eleganza; la storia degli Italiani è anche quella di avvenimenti umilianti di cui non possiamo vantarci, ma che ci hanno anche arricchiti, insegnandoci molto. E se vogliamo essere noi stessi, se vogliamo assumere tutta la nostra identità, senza rinnegare parte del nostro passato, dobbiamo ricordare le glorie senza dimenticare le nostre vergogne, perché è da queste che nascono le più utili lezioni dell’esperienza.

Le glorie, gli esiti positivi, ci possono essere anche utili, ma ci procurano pure molte illusioni, mentre il ricordo del disonore ci può restituire la nostra vera dimensione. La nostra è anche la storia della nostra cronica disorganizzazione, dell’indisciplina, di storici tradimenti, di ignobili “voltagabbanate”; di assurdi incidenti prodotti da errori umani, come quello di Linate, dove l’irresponsabilità e l’ “incivismo” hanno fatto scontrare due aerei in pista, uccidendo oltre un centinaio di passeggeri; vogliamo dimenticare che anche questi sono delitti, crimini nostrani che non possiamo scaricare gratuitamente sugli invasori illegali? E si potrebbe proseguire per molto tempo, anche perché la biografia della criminalità nostrana non si riduce a poche pagine…

Ma non possiamo nemmeno crederci peggiori degli altri; tutti i Popoli hanno nel loro passato del buono e del male. Pertanto, anche se molti nostri connazionali dipingono la nostra realtà idealizzandola, e focalizzano solo ciò che sembra più conveniente, dimenticando o facendo finta di non sapere che la nostra Nazione non è sempre stata un paradiso ed ha non pochi debiti con molti Paesi all’estero, dove sono stati accolti milioni dei nostri fratelli, alleggerendo il peso delle nostre necessità, aiutandoci a dare spazio ad altrettante vittime della nostra stessa miseria. E, secondo me, il modo migliore per riscattare tale conto aperto è riconoscendo agli stranieri che immigrano oggi, tale naturale diritto, per gli stessi motivi, senza negare i loro giusti meriti, e distinguendo, se non altro, i molti buoni lavoratori dai pochi cattivi delinquenti. Questo per, almeno, evitare di commettere quelle stesse ingiustizie che, a loro volta, i nostri emigranti hanno così frequentemente subito.

Ma c’è ben altro da dire ancora: troppi Italiani, ma certamente non tutti, dimenticano che la popolazione italiana si sta avviando ad un pericolosissimo invecchiamento e l’azione o la semplice presenza degli stranieri che vengono a riempire gli spazi vuoti lasciati dalle nostre declinanti generazioni, incapaci o nolenti di rinnovarsi, agisce come freno a questo inesorabile processo degenerativo. Molti giovani che aiuteranno la nostra Nazione a non perire, sono figli di questa utile immigrazione.

Purtroppo, la biasimevole incomprensione, la mancanza di conoscenza da parte di troppi Italiani ha portato il nostro deleterio razzismo a livelli mai conosciuti prima; ed oggi questa autentica specie di cancro è all’agguato ed osa puntare indiscriminatamente il dito minaccioso su chi non è nato dalle nostre parti; e reazioni di questa natura non ci possono fare assolutamente onore.

Ahimè, molti nostri connazionali sono un po’ smemorati o proprio non conoscono bene la successione delle vicende del nostro passato e perfino i nostri libri scolastici distorcono certi avvenimenti. I nostri testi  sono soliti ad attribuire il declino dell’Impero Romano alle invasioni dei barbari; è ciò che ci hanno insegnato fin dalle prime lezioni e non c’è niente di più falso. Infatti, si tratta solo di un mito costruito ad arte; ecco, ancora una volta una dimostrazione della nostra antica incapacità di distinguere le cause che precedono, dagli effetti che ne derivano. In realtà, le cose si sono svolte proprio all’esatto contrario, perché è proprio la presenza dei barbari che ha ritardato la definitiva decadenza di un modello già contaminato dalla corruzione e dalla degenerazione degli abiti, condannando le nostre contrade ai tempi più oscuri, che comunque già bussavano insistentemente alle porte. Infatti, è tipico di ogni civiltà, cedere alla quasi inevitabile decadenza, una volta raggiunto un certo livello di eccellenza. Allora, il declino era già in atto da molto e viene ampiamente descritto non solo dalla storiografia moderna, ma dagli stessi storiografi latini che in un coro di lamenti, ne denunciavano i traviamenti, lamentando quell’abbandono delle antiche virtù che avevano reso grande Roma nel mondo, sostituite da “pane e circensis”. Chi ne dubita dovrebbe rileggersi un po’ di Tacito e di Tito Livio. Qualcosa del genere si potrebbe dire della potenza marittima veneziana.

Rimane, comunque, un fatto reale che non è soggettivo, bensì scientifico: qualsiasi Popolo che si isola e che non scambia valori culturali o genetici per rinnovarsi, è fatalmente destinato al tramonto; l’inequivocabile storia di tutti i Paesi al mondo lo dimostra in modo più che palese. Le zone che erano meno abitate e più isolate al mondo ne sono una chiara incontestabile dimostrazione ed a chi dovesse nutrire dubbi a questo proposito, è consigliabile la lettura dell’ottimo saggio dell’antropologo Jared Diamond ARMI, GERMI E ACCIAIO, in cui l’autore descrive come, per esempio, la popolazione autoctona australiana è rimasta alla preistoria proprio per via dell’isolamento, impedita di comunicare con il mondo esterno; isolamento dal quale è uscita solo con l’arrivo dell’ immigrazione. Immigrazione che all’inizio non era nemmeno il fior fiore della comunità britannica, anzi! Oggi l’Australia è una delle zone più prospere al mondo, grazie all’immigrazione.

E lo stesso discorso si potrebbe applicare agli Stati Uniti, al Brasile, al Canada, all’ Argentina ed a tanti altri Paesi nel mondo. E per confutare questa più che puerile cultura del razzismo basterebbe la lettura di un paio di saggi di altri eminenti emigranti italiani: lo scienziato Cavalli-Sforza, uno dei padri del progetto “Genoma”; oppure qualche bellissima opera di un altro famoso ricercatore italiano: Edoardo Boncinelli. Ma, la lettura, purtroppo, come molti sanno, non è il forte di questo nostro preteso erudito Popolo che ha anche la pretesa di considerarsi “superiore”.

Ma le prove della necessità dello scambio di geni ce la forniscono altri aspetti storici della vecchia nobile Europa: quello del fenomeno di un’altra forma di degenerazione, quella genetica, generata appunto dall’isolamento e dalla mancanza di incroci biologici – per non chiamarli razziali -, a cui è stata soggetta una parte dell’antica nobiltà dominante. Come conseguenza dei matrimoni fra parenti, un buon numero di nobili europei della più antica casta, ma soprattutto fra gli Asburgo, essendosi isolati nel loro mondo chiuso e particolare di consanguineità, limitavano i matrimoni fra parenti e ciò che ne è seguito è un vero e storico declino genetico, fino a produrre praticamente l’estinzione di molte casate.

Del resto, il declino demografico italiano che si produce attualmente, è più che noto; se ne parla un po’ in tutto il mondo, alludendo pure, in modo ironico, alla crisi di quella che doveva essere la famosa italica virilità. Non c’è, invece da lamentarsi se dall’incoraggiante notizia apprendiamo che c’è una lieve ripresa delle nascite, favorita proprio dalla benefica azione degli stranieri che vivono in Italia. Grazie alla loro procreazione sembrerebbe invertirsi la parabola declinante delle nascite. Anche questo è un importante contributo degli immigrati, che invece di adottare cagnolini con pedigree od affettuosi gattini di razza, come ormai molto Italiani preferiscono fare, gli immigrati, non sono ancora totalmente “contaminati” dalle eccessive soddisfazioni che derivano dal benessere, e, per il bene del nostro Paese, generano nuove vite che domani potranno costituire la forza capace di sostenere una parte dei vecchi non più produttivi. Il minimo che si deve loro, dunque, è che si distingua la vera delinquenza dalla popolazione onesta, attiva che in questo regime di autentica emergenza viene in soccorso ad un Popolo depresso, rassegnato, e se non proprio a rischio di estinzione, ma certamente ormai condizionato da una specie di sindrome del pessimismo.