SPRECOPOLI di Mario Cervi e Nicola Porro (Recensione)

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Questa è una pubblicazione polemica che potrà non piacere a molti, ma è pure oltremodo utile, principalmente per far conoscere ad un più vasto pubblico, soprattutto, ai nostri ignari cittadini inermi, ormai ridotti a meri sudditi spettatori, perplessi dinanzi al malgoverno ed alla mediocre gestione delle misere risorse di una Nazione potenzialmente ricca di tradizioni e di capitale umano, ma che ahimè trova sempre meno opportunità. Una Nazione antica e giovane allo stesso tempo; forse non ancora abbastanza “stagionata”, governata da una classe politica – a cui si riferiscono gli autori – che non sembra nemmeno aspirare alla più elementare dignità. Qui, si riproducono, gravissime accuse e numerosi ignobili particolari, un lungo elenco delle più vergognose quanto scandalose pratiche portate a termine da quella nostra peggiore classe politica; quella che si spaccia come difensora di presumibili ma, in fondo, falsi interessi politici. In realtà, questi biasimevoli soggetti agiscono, sovente, senza tanti scrupoli, in maniera totalmente irresponsabile, con assoluta indifferenza verso le conseguenze che le loro intenzionali malversazioni generano.Orbene, non è alcuna novità che l’inferno è ampiamente lastricato dalle presunte buone intenzioni; ma qui si va ben oltre a tali ambigue apparenze. Infatti, i due lodevoli autori, senza ricorrere a mezzi termini, espongono e dettagliano i crudi e concreti fatti che in qualsiasi altro più umile Paese minimamente serio, qualificherebbe altrettanto bene – destituendoli dalle loro cariche – molti responsabili di tali deleterie iniziative. Il Popolo italiano, al contrario, è tollerante, indifferente o, forse, troppo pigro per mettersi a gridare allo scandalo; potrebbe benissimo scendere massicciamente in strada ad agitare veementemente le bandiere della protesta. Altrove, per molto meno, cittadini più consapevoli, salirebbero minacciosamente sulle barricate ed in piazza pubblica armerebbero le ghigliottine. Da noi no, al contrario, ad ogni nuova elezione, gli ingenui Italiani, pur piangendosi addosso e – con altrettanta frequenza -, turandosi il naso, rinnovano con inverosimile disponibilità, l’indebito credito, assicurando  deleghe agli eterni soci del degenerato sistema, a chi, sovente, in cambio, meriterebbe di essere cacciato a malo modo e, finalmente, essere radiato dal potere e dalle comode poltrone indegnamente occupate.

Gli autori qui non sono dei semplici anonimi scribacchini dilettanti; essi si presentano con credenziali e titoli non comuni: l’autorevolezza di personaggi come Mario Cervi e Nicola Porro conferisce a questo loro meticoloso lavoro una innegabile garanzia di serietà. Del resto, il primo, è un noto commemorato scrittore, amico e co-autore dell’indimenticabile prestigioso Indro Montanelli; il secondo, vice direttore del GIORNALE, è anche uno dei più convincenti araldi delle idee liberali; uno dei pochi Italiani in grado di riferirsi con disinvoltura alla Scuola Austriaca di economia, citando – fra gli altri – gli eminenti Ludwig von Mises e F.A. von Hayek, essendo pure un competente conduttore di programmi televisivi di conio liberale – fra i quali VIRUS, che si distingue dai soliti sinistrati programmi dottrinari mancini – nei quali egli, con coerenza e perizia, difende quell’ideologia contumace, da troppo tempo dimenticata ed assente nel Bel Paese. Un Paese, dove pochi leggono, mentre troppi credono di trovarsi al centro di un universo particolare, premurosi a vivere del ricordo dell’ormai lontano e glorioso passato, ma altrettanto spesso, puntuale nella marcia della decrepita militanza del gregge che insegue ciecamente le obsolete teorie che, nel frattempo, la propria prassi ha già squalificato. Il Paese delle meraviglie che abbraccia qualsiasi effimera superficiale moda, ma che di fatto teme la modernità economica, dove solo una timida minoranza sembra conoscere e si dimostra capace di recepire i veri valori del fertile e virtuoso individualismo. L’individualismo che nelle sane libertà prolifera idee; rompe paradigmi superati, per inventarne di nuovi; un’autentica culla dello sviluppo, delle iniziative, del progresso e del benessere stimolato dalla feconda creatività di chi non abdica alle proprie legittime prerogative; che non teme di mettersi alla prova; che preferisce produrre, coltivare e sperimentare innovazioni proprie, per un prospero avvenire sempre migliore, ragionando con la propria testa, piuttosto di alzare il braccio destro od il pugno sinistro e credere per vedere; renitente alle affollate adunanze, dove l’immaginazione non si limita a ripetere all’esaustione i soliti chiassosi slogan usurati. Un individualismo dell’indipendenza, in cui ci si ribella alle consuetudini; non ci si rassegna al destino di un’Italia che ormai da molto tempo par affondare sempre più nell’immobilismo della palude dominata dai conservatori di “lampedisiana” tradizione. Infatti, viviamo in una Nazione arrenata nelle sabbie mobili del populismo e limitata dai vicoli ciechi dei vecchiumi, in altri tempi, propugnati da oscuri pensatori come Keynes, Malthus quando non addirittura ispirati alle contraddizioni ed agli scaduti preconcetti di Marx, Lenin o Stalin e dei loro rispettivi degni compagni.

Ebbene, in queste pagine, i nostri due paladini della linea di pensiero a favore delle libertà individuali e del buon governo rispettoso dei naturali diritti degli individui, in diretto conflitto con i biasimevoli criteri del fallito collettivismo prepotente e coercitivo – fatalmente caduto sotto le macerie del Muro di Berlino -, ci illuminano sulla dura e dolorosa realtà che viviamo nel nostro castigato Paese, ormai da frustranti decenni. Essi espongono pubblicamente, in maniera eloquente e palese, una serie di imperdonabili peccati perpetrati dalla nostra peggiore classe politica che agisce sfacciatamente, in perversa simbiosi con le sue temerarie conniventi appendici burocratiche, senza il più timido timore di essere smascherata. Infatti, insieme, con altrettanta leggerezza ed in tacito accordo con gli eterni corporativismi di piantone, alimentano il turpe sperpero di una ricchezza che nel nostro Paese, purtroppo, non si riesce nemmeno più a produrre, in conseguenza di politiche sbagliate, ostinatamente imposte già da diversi anni. Ciononostante, queste autentiche caste, insensibili ai gravi problemi che fomentano e, pur consapevoli del declino al quale hanno ridotto l’Italia, continuano, incuranti a prodigamente scialacquare addirittura un presunto benessere di un ipotetico ed incerto domani, lasciando in eredità ai posteri un malefico acervo: una montagna di debiti da coprire con il lavoro dell’imprevedibile prodotto delle prossime generazioni, le quali saranno chiamate a sacrificarsi e ad affrontare l’infausto mostro nell’abisso fatto crescere da tanta superficiale e spregiudicata irresponsabilità.

Certo, anche se non tutti gli Italiani hanno sempre e prontamente rinnovato il credito a questa sventurata classe politica che così male ci governa, nel complesso, di questa specie di inguaribile epidemia siamo tutti coinvolti e corresponsabili, proprio perché siamo stati noi stessi che, nella nostra dilettantistica distrazione, abbiamo portato al potere questa gente. Dunque, in parte, non possiamo davvero attenderci di meritare nient’altro di meglio. Tuttavia, come giustificare le prospettive che prepariamo ai nostri successori? Le generazioni di domani, quelle che, prima o poi, dovranno pur farsi carico delle nostre colpe, non dovrebbero essere obbligate ad ingiustamente pagare per i peccati commessi dai nostri cattivi governanti, coadiuvati dai loro emblematici compiacenti complici che in questi decenni non hanno fatto altro che accumulare misfatti. Gli Italiani di domani non potrebbero certo avere alcuna  partecipazione in questi inganni: non sono stati loro che si sono lasciati sedurre dalle false ed allegre promesse di un avvenire migliore, privo di sacrifici e sforzi, eternamente rimandato ad un domani che non giunge mai, a scapito di un reale e concreto presente che non abbiamo saputo gestire con sufficiente saggezza. Pertanto, non meritano di essere penalizzati con tale iniqua punizione che, con ragionevole prudenza, avremmo potuto benissimo risparmiare loro. Sono stati i nostri a scegliere di sacrificare la pragmatica sostanza per vagare fra le illusorie teoriche dottrine. Abbiamo spremuto i migliori, negato loro il giusto profitto del merito, lasciandoli senza le risorse necessarie agli investimenti destinati all’innovazione; ora siamo orfani di un’iniziativa privata che dinanzi all’insaziabile fisco, ha dovuto rinunciare,  arrendendosi alla rassegnazione.

Questa facile e scorrevole lettura non ha la pretesa di un saggio filosofico: espone semplicemente i fatti – come farebbe un buon contabile – ma è, comunque, un’iniziativa ugualmente meritoria. Un’opera di due benemerenti intellettuali che con coraggio gettano un po’ di luce su verità taciute e portano a conoscenza del grande pubblico almeno una serie – certamente non tutte – delle tante malversazioni dei nostri rappresentanti. Pertanto, mi pare più che opportuno tributare loro questo spontaneo riconoscimento. A chi, invece, su questi stessi argomenti, volesse dedicare un po’ di lettura più profonda, si possono consigliare diversi istruttivi saggi di altrettanti illuminati personaggi come Luigi Einaudi, Luigi Sturzo e del nostro esimio Bruno Leoni, molto più noto ed apprezzato all’estero, soprattutto nel vasto mondo delle idee libere dei Paesi anglosassoni ma, ahimè, nostro malgrado, praticamente sconosciuto ed ingiustamente quasi ignorato nella sua propria Patria. Fra le letture in altre lingue c’è l’imbarazzo di una vastissima scelta ma, a questo specifico proposito, ci si potrà documentare bene con LOOKING INTO THE ABYSS (Guardando nell’Abisso) di Gertrude Himmelfarb oppure EL OGRO FILANTROPICO (Il Mostro Filantropico) di Octavio Paz, due eloquenti saggi di genuino conio liberale; pur essendo un po’ datati, uno si riferisce al sistema di un’Inghilterra di altri tempi e l’altro, descrive quell’endemico modello adottato durante decenni – quasi come se fosse sulla falsariga italiana – dalla classe politica del Messico, dove alla gente si insegnava a vivere di un glorioso passato, senza meditare sulle difficoltà del presente ed impedendo alla massa di guardare con ottimismo e speranza, all’avvenire, ormai sotto costante assedio di una contagiosa sindrome del consolidato pessimismo.

E’, quindi, in questo preciso contesto e, per analoghe ragioni, che queste due pedagogiche opere straniere, a similare merito, si inquadrano ancora su  misura, quasi a perfezione, risultando giustamente  a proposito per la comprensione ed attenta analisi della nostra attuale deprimente realtà. Già, a prescindere dall’ideologia, dalla rispettiva retorica e dalla demagogia, che da queste deriva, a cui con scarsa dissimulazione, in difesa dei propri particolarismi, i soliti Nostri – in fondo – ricorrono, quegli illuminanti testi ci rivelano come tutto quel falso altruismo, la solidarietà istituzionalizzata, l’ambigua generosità con risorse inesistenti, non sono altro che utili pretesti, bene elaborati. Ed infatti, queste stesse pagine di Cervi e Porro, lo dimostrano, riportando altrettanto bene gli effetti futuri dei disastrosi ed equivoci metodi politici parassitari con i quali, così ipocritamente, la nostra deplorevole politica promuove un grottesco quanto dannoso paternalismo che ha, finalmente, un unico vero obiettivo: sostenere un populismo in solo beneficio della propria continua, ma sconveniente, sopravvivenza politica da parte delle nostre caste.