ANTISTORIA DEGLI ITALIANI

di Giordano Bruno Guerri (Recensione)

Genesi dell’indole della  nostra identità…

Sono favorevolmente impressionato da questo compendio storico del mio primo libro di Giordano Bruno Guerri. Lo stile è scorrevole e la lettura molto piacevole anche perché esce da quei noiosi parametri scolastici, un po’ come ce li ha proposti, a suo tempo, il grande Montanelli. La critica nei confronti della nostra indole è severa e sovente impietosa, ricca di toni ironici che ogni tanto sfiorano il sarcasmo, potendo arrivare al crudo cinismo. L’autore non esita a rompere certi paradigmi, sfatando quei miti artificiali sui nostri meriti e ridimensiona la cosiddetta grandezza del nostro passato; eccellente interprete delle nostre antiche e presenti vicissitudini, non teme di fornire la sua lettura degli avvenimenti storici e la genesi delle cause che hanno forgiato un Popolo ambiguo, sì, ma anche creativo e oltremodo abile.Del resto, ogni storiografo fa una lettura dei fatti a modo suo; anche perché la realtà è un po’ come una poliedrica immagine rispecchiata attraverso il prisma che la filtra, riproducendo altrettanti riflessi su multiple sfaccettature di un diamante e si presenta alla nostra osservazione, in altrettante forme, in maniera mutevole ed alterna, con e senza eventuali ombre dalle più distinte tonalità. Così, anche la verità relativa, a cui umanamente è possibile accedere, si presenta alla nostra attenzione come un gigantesco iceberg, in gran parte sommerso, di cui riusciamo a vedere solo una minima parte in superficie, ma che comunque cambia aspetto, in funzione del tempo, dell’intensità della luce e del moto delle onde e delle correnti. E così si presenta a noi anche la storia.

In altri termini, in funzione della nostra stessa natura, siamo condizionati dai limiti delle nostre capacità d’interpretare la realtà, perennemente influenzati da tutta una serie di circostanze, come mutazioni del tempo e dall’ambiente che ci circonda, come dal nostro stesso umore e stato di spirito, oltre che dagli altrettanto numerosi contesti sui quali non abbiamo alcun controllo. Ecco perché la storia non è mai definitiva ma, al contrario, è soggetta a continue revisioni da chi la analizza, partendo sempre da nuovi presupposti che nel corso dell’osservazione emergono, non mancando neppure – se non soprattutto – le deformazioni generate da chi scruta gli eventi diversamente, sotto l’influenza della retorica al momento predominante.

Tutti abbiamo una visione propria; ognuno può proporre versioni originali, generate dalla comprensione dei fatti interpretati, a loro volta, in un preciso momento vissuto, usando parametri e criteri unici. Sì, perché la verità, a cui noi umani fallaci abbiamo accesso è anche come un infinito policromatico mosaico confuso, dove entrano versioni di ieri, interpretazioni di oggi e perfino di domani. Allora, ad ogni fase, in modo alternato, le diverse tessere sono sostituite continuamente, perché ogni individuo che coltiva le proprie verità dal suo specifico punto di osservazione, inserisce e sostituisce i suoi particolari frammenti; e così fa, in modo soggettivo, tutta un’illimitata moltitudine di individui; infatti, ogni punto di vista dipende dal luogo e dal momento, potendo, a sua volta, modificare i dettagli specifici, alterando conseguentemente, il risultato, formando così, ogni volta nuove composizioni che non saranno mai le stesse, né saranno definitive, perché condizionate da troppe varianti, a seconda delle particolari preferenze e soggettive interpretazioni dei singoli.

Ebbene, questa è un po’ la matrice seguita dallo storiografo dove – secondo me – Giordano Bruno Guerri riesce a sviluppare in maniera oltremodo appropriata, la sua interpretazione degli eventi che, nel corso dei secoli, hanno forgiato l’indole ed il carattere che contraddistinguono il nostro Popolo. Un insieme di stirpi che una storica retorica vorrebbe erede non solo delle nobili romane virtù, ma anche della grandezza dei geni che compongono il pantheon del nostro migliore passato, anche se le multiple invasioni e dominazioni ma, principalmente, il monopolio della conoscenza da parte della Chiesa, con interventi, miti e superstizioni, hanno fatalmente condizionato e spesso frenato le nostre libertà, ostacolando il naturale corso del progresso. Infatti, dobbiamo a questi una buona parte della nostra attuale e concreta ed endemica costituzione. E’ innegabile che le nostre generazioni passate sono state modellate da tutta una serie di condizionamenti che formano l’acervo positivo, ma anche negativo del nostro carattere nazionale, che in ogni caso non è mai stato omogeneo ma, al contrario subisce l’influenza di ulteriori numerosi fattori.

Per riassumere, siamo un Popolo pieno di contraddizioni che va in Chiesa ma, in fondo, non professa una vera fede genuina. Un Popolo culturalmente molto eterogeneo, dalle più distinte origini, lingue e tradizioni che solo in tempi recenti ha adottato una lingua in comune, ma che continua a coltivare costumi diversi e spesso ancora stenta ad identificarsi come Nazione unitaria. Un Popolo che nei secoli – per intrinseche necessità -, ha dovuto imparare ad essere opportunista: indotto dalle convenienze ad adeguarsi alle imposizioni dei vari poteri che si sono alternati. Così come oggi, anche allora ci si giustificava con “tengo famiglia” e pertanto, sempre pronti alla trasgressione. Un Popolo che si fa passare da credente ma che, invece è più superstizioso che religioso; che milita più spesso con intima indifferenza; va alla messa domenicale, ma più che altro per sfoggiare il proprio abbigliamento, dichiarandosi magari anticlericale; altri ci vanno perché così si è sempre fatto ed è un’ottima opportunità per incontrare i propri conoscenti all’uscita dalla chiesa.

Un Popolo che si crede geniale, quasi come unico depositario del buon gusto, dell’arte e della conoscenza, ma che applica la propria competenza, la propria straordinaria creatività piuttosto e più frequentemente nell’arte della dissimulazione, con l’astuzia, recitando in funzione delle apparenze; un Popolo di individui che si considerano furbi abbastanza da poterla fare sempre franca, di poter ingannare il prossimo, ma che nella loro ingenua credulità, con altrettanta frequenza, sottovalutano le capacità altrui.

Insomma, un Popolo eccessivamente provinciale che si credi di essere il centro dell’universo, convinto che il miglior pasto da consumare sia un bel piatto degli eterni spaghetti al dente, credendo che tutti gli altri non sono altro che barbari incapaci di cibarsi d’altro se non di patate od hamburger. Così, siamo soliti a guardare lo straniero dall’alto verso il basso, ma siamo allo stesso tempo sempre disposti a scimmiottarne qualsiasi innovazione, anche in maniera teatrale esagerata. Nota è la maniera con cui siamo soliti a prendere in prestito termini ed espressioni straniere che non solo a mala pena sappiamo pronunciare in modo minimamente corretto ma, altrettanto spesso, ne modifichiamo a nostro piacere e criterio addirittura il vero significato, mentre la nostra magnifica lingua dispone di equivalenti molto più orecchiabili e spesso altrettanto precisi.

Siamo un Popolo di teorici che si fida più delle dottrine che delle ideologie non essendo idealisti; crediamo di essere romantici solo perché interpretiamo bene le serenate, ma in fondo siamo dei perfetti materialisti e, di solito, siamo abbastanza diffidenti, tendenzialmente piuttosto pragmatici quando c’è di mezzo il nostro interesse personale; eppure, quando si tratta dell’interesse collettivo, non siamo sempre disposti ad assimilare le leggi della prassi, a meno che la cosa non ci tocchi da vicino. Spesso la nostra libertà è invadente, mentre le libertà altrui sempre circoscritte; siamo oltremodo esuberanti ed impegnati a difendere i nostri diritti, ma non altrettanto nel rispetto dei nostri doveri.

Forse, la nostra caratteristica che meglio ci rappresenta è la vanità e per anni ci siamo vantati di essere i migliori protagonisti nell’arte di amare, eppure, ormai non facciamo nemmeno il numero minimo figli per assicurare la continuità in un avvenire per i nostri posteri.

La nostra indole ha ispirato tutta una miriade di autori e numerosi di loro hanno dedicato famosi testi alla nostra singolare natura, da Goethe a  Montesquieu e Stendahl, amanti dell’Italia, ma non sempre altrettanti degli Italiani. Impietose e divertenti pagine critiche sono state scritte anche a casa nostra, con il contributo del Machiavelli fino a Casanova, da Leopardi a Leo Longanesi, da Prezzolini a Montanelli e più recentemente, per citarne solo due, Antonio Caprarica o Roberto Gervaso che proprio alla nostra equivoca identità dedica una critica dal crudele e paradigmatico titolo ITALIANI PECORE ANARCHICHE che, di per sé, la dice tutta perché, di fatto, siamo anarchici ma, nonostante questa qualità individualista, siamo sempre puntuali a correre in massa dietro a qualsiasi novità, seguendo l’ultimo strillone di turno che annuncia qualcosa di diverso, senza meditare troppo se le promesse costituiscono qualcosa di buono o semplicemente un’altra inutile superficiale stravaganza.

Ed infatti, c’è il periodo fascista a dimostrarlo in maniera concreta, quando agli  esaltanti discorsi di Mussolini la grande maggioranza accorreva entusiasta in piazza a dedicargli i più spontanei applausi; e dopo tanto generoso consenso, siamo stati altrettanto tempestivi a giragli le spalle, rinnegando perfino di avergli praticamente dato carta bianca, senza reagire, lasciandoci condurre alla tragica avventura a combattere per cause che non ci hanno mai entusiasmato. Allora, nella nostra più tipica ambiguità, facendo finta di credergli; eppure, lui stesso confessava che guidare gli Italiani non era difficile ma, ahimè, semplicemente inutile… e dopo aver tradito le aspettative nazionali, appena le avversità segnavano il declino della sua sorte, allo stesso modo è stato tradito pure lui, proprio da coloro che lo adulavano ed applaudivano. Del resto è parte della nostra meno nobile tradizione scegliere opportunamente il lato dei più forti e così nell’arco di un periodo piuttosto breve, da fascisti ci siamo prontamente dichiarati antifascisti. Ed in alcuni casi nella maniera più vergognosa, sfacciata ed ipocrita.

Certo, siamo un Popolo un po’ ambiguo che non fa troppo caso ai particolari equivoci conflitti che ci qualificano e che non ci fanno sempre troppo onore; tuttavia, Giordano Bruno Guerri è abbastanza coerente da saper riconoscere anche i nostri indiscutibili grandi meriti, pur mettendo bene in evidenza non solo i nostri peggiori vizi, non nega assolutamente le numerose contraddizioni e virtù che da secoli, se non da sempre, ci contraddistinguono.

Del resto, personalmente, nonostante tutta la retorica che ci è stata impartita, non riesco a credere che esistano Popoli superiori o Popoli inferiori; credo piamente, invece, che tutti i Popoli hanno avuto delle opportunità per realizzare le loro glorie ed alternativamente le proprie vergogne; inoltre, tutti abbiamo i potenziali per salire nelle altezze, come nessuno a è libero di cedere alle viltà. Noi tutti abbiamo qualità e difetti che alla fine dei conti della nostra particolare partita doppia della vita, fanno con che il bilancio conclusivo di ciò che abbiamo fatto od avremmo dovuto fare – nel bene e nel male – in ultima analisi, si chiuda in pareggio. Dalla vita s’impara come spesso essa ci riserva dei conti da pagare per debiti che non abbiamo contratto e che per destino dobbiamo pagare in anticipo, mentre, in altre opportunità, otteniamo premi che, forse, non avremmo sempre meritato. Sarà, forse, perché la legge che regola l’universo è la legge dell’equilibrio, perciò, prima o dopo, ci sono sempre delle compensazioni ai torti subiti ingiustamente ed alle colpe meritate ma non scontate.

Forse, questo non può valere tanto per gli individui come pure per i Popoli e le Nazioni? Non è per caso vero che ogni regione geografica, ogni Popolo a modo suo, può far valere e vantare una determinata eredità da esaltare? D’altronde, le civiltà subiscono continue evoluzioni e spostamenti e da una zona si sono sempre trasferite altrove, dove altri hanno raccolto il testimone per dare ad esse continuità e portarle sempre più a compimento, seguendo il moto del sole, da Levante verso Ponente. Non per niente, storicamente, ogni volta che un Popolo raggiunge un certo grado di benessere, fatalmente, inizia la sua fase di declino. La storia ci insegna, pure, come ai periodi di splendore delle grandi civiltà, sono seguiti anche lunghi periodi di decadenza. Infatti, nessuna civiltà ha resistito dopo aver raggiunto il suo apice di straordinaria grandezza, proprio perché il progresso non nasce dall’abbondanza, bensì dalla necessità, dall’incertezza, dalla fame, dai dubbi; ed una volta raggiunto un determinato progresso, la sazietà fa passare tutto ciò a secondo piano mentre il ciclo si esaurisce.

La maggioranza delle Nazioni ha i suoi  predecessori di cui orgogliarsi e se, per caso, ci sono ancora Popoli e Nazioni che non ancora potuto esprimere il massimo delle proprie potenzialità, ancora incapaci di descrivere la grandezza di un proprio remoto passato, ciò non significa che l’avvenire non potrà loro riservare quella grandezza e quel prestigio a cui noi spesso facciamo riferimento, senza che noi in persona ce lo siamo effettivamente meritato.

In conclusione, la presente opera, oltre ad essere scritta molto bene, ci permette di percorrere le tappe della nostra storia in modo utile ed in gradi di farci capire come di fatto siamo, nel bene e nel male e, chissà, che non ci possa aiutare a comprendere meglio pure le cause che hanno prodotto il delicato momento storico che stiamo attraversando; una fase, questa, che non ispira affatto troppa serenità ma, al contrario, dovrebbe indurci ad una maggiore meditazione sul da farsi per arginare il deleterio declino del negativo pessimismo in cui in questi ultimi anni stiamo finendo.