CON O CONTRO RENZI…

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Se il tema dovesse essere quello di anticipare una specie di bilancio di ciò che ci si aspettava da Renzi e ciò che, di fatto, è stato realizzato dal nostro giovane Presidente del Consiglio, la lettura che se ne può fare dipende anche dalla particolare visione che ognuno di noi ha e dal significato e soprattutto dal valore che si può attribuire al lavoro che fino a qui è stato svolto. Per la soggettiva interpretazione di un liberale come me, ai sensi più pratici, è possibile sostenere che avremmo certamente potuto avanzare un po’ di più; invece, per chi ha una visione – diciamo a loro modo – “progressista” nel senso socializzante, forse, c’è stato addirittura un peggioramento, se non proprio quasi un tradimento.

Io, personalmente, alimento pochi dubbi sul fatto che nonostante auspicassi molto di più, proprio perché all’inizio si parlava di riforme e di riforme importanti, Renzi si sia impegnato sforzandosi abbastanza; tuttavia, i risultati non sono sicuramente stati all’altezza delle aspettative, soprattutto credendo che si sarebbe intrapresa una via in direzione alla modernizzazione di cui il nostro Paese, il nostro modello economico e produttivo richiedono con urgenza, perché l’Italia è ancora troppo ferma ad un obsoleto passato e troppo timorosa ad aprirsi alle tendenze globalizzanti, capaci di finalmente liberarla dalle catene imposte dall’ambiguità ideologica che ha predominato nel quadro politico degli ultimi cinquant’anni.

Ma se non si è potuto avanzare oltre, se non abbiamo ancora potuto commemorare una vera rivoluzionaria modernizzazione, lo dobbiamo non tanto alla mancanza di volontà del benintenzionato Renzi, ma al nostro eterno ambiguo modello arcaico, che in tutti questi anni è prevalso, ed al quale molto opportunamente l’autore Tomasi di Lampedusa ha dedicato il celebre Gattopardo, dove si legge come la classe conservatrice deve agire in modo che tutto cambi affinché tutto, principalmente i privilegi di chi detiene il potere, possano essere preservati…

Ora, da una parte, gli avversari di Renzi gli rinfacciano di tradire le classi meno privilegiate che il suo partito dovrebbe, a loro avviso, rappresentare con esclusività, mentre invece, egli tenta di rimediare proprio agli equivoci ed agli errori che dovevano essere corretti già da molto tempo. Dall’altra, invece, lo si accusa di non agire abbastanza e di non realizzare le riforme liberalizzanti che aveva segnalato, ma che, in fondo, nemmeno i nostri stessi liberali sono riusciti a portare a termine.

Certo, Renzi non ha la tempra della caparbia Thatcher anche se, con una maggiore dose di coraggio, probabilmente, potrebbe e dovrebbe cercare di emularne i suoi metodi, assumendo maggior determinazione su certe posizioni. Ma noi siamo Italiani, e come qualcuno ha scritto, amiamo ballare il Valzer: un giro a destra ed un altro a sinistra… mentre la Thatcher, procedendo dritto senza esitazioni, ha imposto le sue riforme affrontando i sindacati, in un Paese che vantava già un’antica tradizione liberale. Nella provinciale Italia, al contrario, non sembra possibile e c’è chi preferisce l’immobilità, pur danzando intorno. Siamo una Nazione condizionata perfino dalla religione, anche perché abbiamo anche la santa Chiesa che condanna il lucro, perché il denaro è lo sterco del demonio, e si ostina a criticare la libera iniziativa privata; e, se non bastasse, ora siamo indotti ad ospitare addirittura un papa populista che non esita atteggiandosi a fare l’occhiolino agli ultimi orfani sopravvissuti al fallimentare socialismo, beatificando perfino i cardinali che esaltavano il marxismo.

A Renzi, però, dev’essere riconosciuto il grande merito di aver affrontato un potente tabù, quello di rompere questo deleterio incanto e con immenso coraggio ha saputo apertamente sfidare quelle forze che in tutti questi decenni hanno mantenuto l’Italia nel ritardo, sotto ricatto, portandoci a queste deprecabili condizioni che ahimè abbiamo sotto gli occhi e che hanno ridotto il Paese a questa drammatica crisi, dalla quale non sarà facile uscire, solo con i discorsi. Eppure, ha puntato il dito contro gli autori di chi ha invertito tutta una serie di valori, dove ormai non viene premiato il lavoro, il merito, i risultati concreti propriamente detti; dove lo sviluppo è stato sacrificato all’ideologia, dove la produzione di ricchezza attraverso l’impresa e l’iniziativa dei nostri migliori individui è semplicemente stata inibita e dove si è stimolata e si è fomenta la temeraria militanza, nell’esaltazione della più equivoca dottrina distruttiva, in difesa delle cosiddette “conquiste” sociali, a favore dell‘esagerata protezione ai dipendenti a prescindere dell’utilità, della produttività, a scapito del vero merito, e dove ogni onere che da questo modello deriva, era sommariamente aggiudicato, senza appello, agli imprenditori, obbligati a scaricare i rispettivi onerosi costi sui prodotti e sui servizi a pregiudizio del mercato e a diretto danno dei sovrani consumatori.

Ebbene, Renzi, ha dimostrato di aver capito tutto questo e non si è schivato di affermarlo pubblicamente, che qualcosa di fatto doveva essere radicalmente cambiato, e se pur timidamente, ha coraggiosamente affrontato le tigri – non senza qualche esitazione -, rompendo quei perversi paradigmi che la classe politica del suo stesso partito era riuscita ad imporre. Quindi, qualcosa ha certamente ottenuto e se non fosse altro, è riuscito a neutralizzare una parte – nella mia visione, la peggiore – della classe politica italiana e principalmente quei sindacalisti strilloni indottrinati che, con la loro ossessiva intransigenza continuano a non voler capire e si oppongono ad ogni nuova iniziativa che rischi di compromettere i propri ingiusti privilegi che tanto hanno danneggiato il nostro sistema produttivo, sviluppando indirettamente nient’altro che il precariato.

Non per niente, da anni noi solitari liberali sosteniamo che all’Italia servirebbe una Margareth Thatcher, ma in mancanza della Dama di Ferro, non ci resta che di accontentarci con chi almeno dice di voler fare; e vada pure anche il più timido Renzi che a poco a poco, nonostante tutto, riesce ad imporre qualche piccolo cambiamento, ed è un lavoro che in fondo, non era riuscito nemmeno a Berlusconi che ad un certo momento poteva contare con tanto di maggioranza parlamentare assoluta, seppur soggetto ai capricci della Lega e dei suoi alleati conservatori.

Ben vengano, dunque, anche le modeste riforme di Renzi: meglio quelle piuttosto di niente; chissà che non costituiscano un modesto promettente inizio dell’auspicata mutazione; il cambio di direzione; un’ulteriore lieve svolta verso destra che noi liberali – messi a tacere – da tanto tempo  raccomandiamo. E finché riesce a far arrabbiare la più deleteria ala mancina radicale del suo partito non possiamo fare altro che augurarci che continui su questa strada, stimolando la loro fuoriuscita; ed invece di limitarci a criticarlo dovremmo incoraggiarlo, manifestandogli il giusto riconoscimento con un forte caloroso applauso e qualche voto in più a favore delle sue iniziative anche se impopolari.

Infatti, coloro che ancora si ostinano a difendere gli ambigui diritti sociali, dimenticano – o fanno finta di ignorare – come i Paesi che più distribuiscono ricchezza al mondo sono quelli che prima di spendere, sanno di dover permettere che qualcuno quella stessa ricchezza la si possa produrre, accumulando i propri utili. Perfino le nostre casalinghe sanno di non poter spendere di più di quanto dispongono. E nel nostro caro ma povero Paese, ahimè, da decenni si spende allegramente, purtroppo, perfino la ricchezza che non è mai stata generata: dunque, in piena consapevolezza, si consuma di più di quanto il nostro sistema riesca a produrre, indebitando in questo modo le generazioni future che saranno chiamate a sacrificarsi per estinguere i debiti contratti dalla generazione precedente. E come la Thatcher aveva, a suo tempo, giustamente osservato, il socialismo si esaurisce quando finiscono i soldi degli altri; infatti, i nostri conti sono ormai in rosso da decenni ed i nostri irresponsabili politicanti sono stati degli autentici maestri dello spreco, avendo saputo anche in questo raggiungere tale deprecabile risultato…

Invece, basta verificare Paesi dove i cosiddetti lavoratori – come se gli imprenditori non lavorassero -, non godono di tanti privilegi, come da noi; dove, con le ambigue prerogative spacciate in nome di una falsa solidarietà istituzionalizzata, in cui, in modo del tutto spregiudicato, in Italia sono stati ripetutamente concessi vantaggi inadeguati alla crescita ad una parte dei cittadini, dagli anni ’60 in poi; questo, in un’epoca di straordinaria espansione, quando eravamo ancora una delle più promettenti e prospere economie del Pianeta e che finalmente si è poi inceppata. Ebbene, ora, gli autori di tali scelte sbagliate, dovrebbero paragonare i nostri tassi di disoccupazione agli indici di sviluppo e di crescita dei Paesi che seguono politiche del tutto opposte, mentre noi siamo rimasti indietro con i nostri disastrati livelli di contrazione, dove i giovani, pieni di salute ed anche molto capaci, sovente mantenuti in casa dai propri genitori in pensione, hanno ormai scarse prospettive, proprio perché invece di premiare le iniziative, abbiamo spremuto, oltre ogni limite, i nostri migliori imprenditori a tal punto che non dispongono più delle risorse fondamentali da investire nella ricerca, e si trovano ormai privi dei mezzi per poter promuovere l’innovazione necessaria al confronto con la più competente ed aggressiva concorrenza estera. Così cosa resta loro, piangersi addosso o tornare a cercare lavoro oltre i nostri confini?

Del resto, la nostra più mancina sinistra non ha mai riconosciuto i propri errori, sposando le cause dei pigri, a fomento dell’inerzia, non mancando il contributo contrario di certi magistrati che assolvevano perfino coloro che danneggiavano l’industria in cui erano preposti alla produzione, fino a quando all’orizzonte è sorta la nuova speranza, arrivando un giovane politico sveglio che se non altro, ha avuto il coraggio di cambiare discorso e lo fa con un certo dinamismo diametralmente opposto ai noiosi discorsi carichi di eloquente flemmatica retorica della famosa lentocrazia che ha caratterizzato molti dei governi del nostro passato, quando agli economisti non veniva concessa alcuna voce. Eppure i buoni esempi non ci sono mancati: Luigi Sturzo, Luigi Einaudi, Bruno Leoni, Antonio Martino per citarne solo un paio…

Naturalmente, i puntuali conservatori, i paladini del nostro provincialismo, gli avversari nell’ambito del suo stesso partito, non glielo possono perdonare e noi non dovremmo aggiungere combustibile a tali critiche, bensì fare il suo tifo, auspicando che certi elementi se ne vadano ad aggiungersi alle ultime sinistre estreme ormai condannate dalla storia, accanto alle macerie del Muro della Vergogna di Berlino, scommettendo che Renzi riesca ad allontanarsi sempre di più da questa gente che vive solo di pura demagogia impropria e che, a scapito di un pragmatico presente  economico, ipocritamente, ha sempre preferito promettere un teorico avvenire migliore in un presunto domani che non giungerà mai.

Infatti, per realizzare quelle loro equivoche tesi, in maniera del tutto irresponsabile, non hanno solo esitato a consumare la ricchezza del loro presente, bensì, hanno sprecato addirittura anche quella che la prossima generazione dovrà ancora produrre. Con la loro spregiudicata generosità con il denaro altrui, hanno stimolato l’indolenza ed ora, se oggi in questo clima depressivo prevale un po’ ovunque l’indifferenza ed il pessimismo e ci troviamo in questa specie di palude, lo dobbiamo solo ed unicamente alle loro controverse scelte politiche.

Certo, qualcuno dovrà pure tentare di porre rimedio a questi fatali errori ed è un’eroica sfida quella che attende ora il dinamico ex sindaco di Firenze al quale spetta la difficile responsabilità di cercare di farci uscire da questa disastrosa situazione; chissà, forse ci riuscirà; auguriamocelo. Pertanto, per concludere, la mia “sentenza” sui suoi tentativi, è certamente assolutoria.