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HOTEL LUX di Ruth von Mayenburg (Recensione)

Cronaca Stalinista: Militanza, Spionaggio e Paura

Questa è una lettura utile per stimolare un po’ la memoria o per risvegliare quella di chi, o l’ha persa o fa finta di aver dimenticato il passato; è un reperto che rievoca un po’ quello che è stato uno dei periodi storici più oscuri dell’ultimo secolo. Un documento che si riferisce ad un luogo dove Stalin manteneva riuniti i suoi cosiddetti Agit-Prop internazionali; un punto d’incontro talmente emblematico che allo stesso noto corrispondente dall’Est, Enzo Bettiza, ha ispirato addirittura una copiosa opera romanzata, appunto, dal titolo HOTEL LUX – I FANTASMI DI MOSCA.

La versione dell’ex attivista marxista austriaca Ruth von Mayenburg, invece – dalla quale deriva pure il film HOTEL LUX – Die Menschenfalle (La trappola Umana) –, racconta la reale vita degli esuli comunisti che giungevano un po’ da tutto il mondo, ospitati dall’ “apparato” di Mosca dove Hotel Lux, dovevano consolidare il proprio indottrinamento; un immobile di cinque piani, totalmente riservato in esclusiva ai militanti stranieri che, in comune, alimentavano il sogno d’introdurre nei loro distinti Paesi di provenienza un fatidico regime egualitario e giusto; Paesi dai quali, molti di loro avevano dovuto fuggire, perché soggetti ad essere arrestati. Nel caso particolare, i comunisti tedeschi perseguitati dal Nazismo, quelli italiani che rischiavano il carcere fascista e, naturalmente gli Spagnoli sopravvissuti alla sanguinosa guerra civile persa e, perciò, per sottrarsi alle ritorsioni dei falangisti del Generalissimo Franco che, a sua volta, era stato aiutato dalle truppe naziste e fasciste, e così via…

Questa versione di HOTEL LUX della Mayenburg, pubblicata a fine anni ’70, già difficile da trovare, al punto di dover accontentarmi della versione originale già usata, è un documento oltremodo interessante perché autentica testimonianza diretta, dal vivo, di una protagonista che sotto lo pseudonimo di Ruth Wieden ha vissuto in prima persona l’esperienza insieme a suo marito. Narra come, durante la loro permanenza, vi avevano alloggiato insieme a diversi personaggi che – nella maggioranza dei casi – ricorrevano quasi tutti a nomi falsi;  alcuni di questi  diverranno famosi fino a dirigere le proprie Nazioni: è il caso di Walter Ulbricht, Tito, Chu-En-LaiHo Chi Min, e, sotto lo pseudonimo di Ercole Ercoli perfino il nostro Togliatti che aspirava ad assumere il controllo dell’Italia, imponendo un regime comunista; inoltre, c’erano Dolores Ibárriri (famosa come La Pasionaria), Ingnazio Silone, il filosofo ungherese Lukacs e molti altri intellettuali ed attivisti marxisti che dovevano poi contribuire alla rivoluzione proletaria ed al trionfo finale del collettivismo nel mondo.

Se per molti l’albergo-residenza era diventato un rifugio, per altri era diventata una specie di prigione, un ghetto dove gli ospiti – spesso a loro insaputa – vivevano sotto stretta sorveglianza e vigilati direttamente dall’ apparato dei servizi segreti, principalmente a partire dal conflitto di potere sorto fra TrockijStalin in poi; e bastava il solo e semplice sospetto di  contatti con estranei possibili simpatizzanti di dissidenti per improvvisamente sparire nel nulla. Infatti, diversi residenti, di notte od in pieno giorno, senza preavviso o cerimonie, venivano prelevati, mentre agli altri ospiti che si accorgevano di tale inattesa assenza, conveniva nemmeno fare domande o parlarne con gli altri convittori, perché il semplice accenno poteva rivelarsi anche un’ingannevole quanto pericolosa fatale trappola e ciò non solo per gli eventuali potenziali traditori, pentiti, infedeli o scettici, ma anche per coloro che eventualmente, non approvassero in totalità ed incondizionatamente i metodi stalinisti. Coloro che coltivassero dubbi sulle politiche, sui metodi od i mezzi applicati dal governo del regime stalinista, erano, infatti, trattati come dei traditori e non sarebbero stati perdonati. E per conoscere i metodi che il regime riservava per obbligare gli accusati a confessare, è utile la lettura degli autori Giancarlo Lehner Francesco Gavazzi – CARNEFICI E VITTIME, oppure I RACCONTI DI KOLYMA di Varlam Šalamov.

Da notare che la cronaca della Mayenburg inizia ben prima che le famose purghe del tiranno Stalin venissero convalidate dalla pubblicazione di documenti aperti dopo l’inevitabile fallimento dell’Unione Sovietica. Per questo sensibilizza ed emoziona il lettore che anche dopo tanti anni, incredulo, ha l’impressione di leggere un fantasioso romanzo. Invece, si rende ben presto conto di aver a che fare con fatti concreti, dove i sentimenti più compassionevoli e di stizza si sommano ad ogni capitolo. Questo perché, contrariamente alla letteratura che già circolava da parte di autori vari e spesso sotto forma di romanzi autobiografici – come Dottor Divago di Pasternak -, vi si percepisce la cruda autenticità dell’esposizione da parte di una protagonista sincera che pubblica i suoi ricordi, ormai lontana dai tempi e da Mosca, così realistici che uno riesce quasi ad immedesimarsi con i fatti.

Eppure, già lo stesso Chuščev, in occasione del XX congresso del PCUS, nel 1956, aveva denunciato i crimini perpetrati durante l’incubo stalinista; ciononostante, i nostri fedeli, compiacenti ed impenitenti comunisti, quali Togliatti (il Migliore) e perfino lo stesso nostro ex presidente Napolitano, non lo ammetteranno mai fino all’ultimo, malgrado ciò che si poteva dedurre già da quanto narravano George Orwell (LA FATTORIA DEGLI ANIMALI e 1984) o di Albert Camus (L’UOMO IN RIVOLTA), Ignazio Silone (USCITA DI SICUREZZA; LA SCUOLA DEI DITTATORI), come di tanti altri socialisti rimasti delusi dopo il loro ritorno dal presunto Paradiso del Proletariato, avendo dovuto amaramente constatare che, in realtà, quello non era altro che un autentico inferno dantesco.

L’autrice descrive, dunque, le attività quotidiane degli esuli dalle differenti provenienze e nazionalità che parlavano numerosi idiomi distinti e le difficoltà affrontate dai rifugiati non solo con la lingua russa, ma anche nel convivio dei rispettivi membri di famiglia; le avventure fra gli stessi ospiti alcuni dei quali, contrabbandavano perfino prostitute per le loro solitarie notti nei propri alloggi ed  i controlli alle entrate ed uscite dell’edificio;  i timori, la scarsità di un po’ di tutto e l’inconveniente di poter circolare per la città, dovendo assolutamente evitare luoghi interdetti, o mantenere contatti con la Popolazione locale. Fra le difficoltà che i nuovi arrivati affrontavano c’era anche la presenza e la convivenza con insetti – fra l’altro pidocchi – nonché i numerosi ratti che furtivamente vi circolavano.

Nella lunga permanenza, si promuovevano riunioni e discussioni politiche di partito, sia con le autorità locali, come fra gli stessi ospiti, facendo sempre molta attenzione a come ci si esprimeva, evitando di dare l’impressione di una più semplice ed innocente insoddisfazione capace di passare per una critica al sistema, anche se riferita solo all’alimentazione. Da lì, segretamente, corrispondevano con le loro basi all’estero, ma sapevano bene che qualsiasi comunicazione era soggetta a censura.

Durante la calda estate venivano indirizzati nelle vicine località fuori città; dove ad ogni famiglia veniva assegnata una dacia da eventualmente condividere con altre famiglie. In questa zona bucolica, potevano godere un clima più mite, ma c’era anche l’inconveniente dei frequenti furti e delle rapine da parte dei poveri contadini sbandati, privati delle loro proprietà; infatti, sapevano che negli alloggi assegnati agli stranieri avrebbero trovato un po’ di tutto. A questo proposito, l’autrice ricorda come una delle famiglie ospitate era stata sorpresa da tale avventura, ovvero la sgradevole visita degli intrusi, in piena notte, quando mentre tutti dormivano, avevano subito il furto di tutti gli indumenti; e si trattava proprio della famiglia Ercoli, alias Togliatti… Ebbene, l’autrice rivela pure che il cosiddetto Migliore aveva anche un figlio che era stato avviato ad una scuola riservata ai figli dei comunisti internazionali; il suo nome era Aldo, e vi si apprende che già al “Lux “mostrava di essere un tipo strano, timido ed introverso, così, già allora, ad un certo momento, era finito in un ospedale per malati mentali.

Da altre fonti, si apprende inoltre, che lo avevano lasciato ad Ivanovo, dove studiavano anche altri giovani dei militanti comunisti, come i figli di Mao, di Tito e della Pasionaria Dolores Ibarruri; gli avevano promesso di andare a prenderlo tre mesi dopo, mentre vi rimarrà per ben tre anni, senza essere mai visitato. Il giovane Aldo Togliatti, dunque, dall’indole fragile e sensibile, scriveva al padre affinché lo visitassero, ma senza ricevere risposte. E, dopo essersi laureato in ingegneria, aveva sofferto un decisivo peggioramento, principalmente, in seguito al trauma della separazione del padre dalla madre; infatti, al rientro dall’allora Unione Sovietica, il “grande” Migliore Togliatti lasciava la moglie Rita Montagnana per unirsi all’amante Nilde Iotti e, praticamente, abbandona a se stesso il proprio figlio – che non si era nemmeno mai espresso a favore della vocazione marxista del padre; anzi, in due occasioni è stato addirittura ripreso mentre tentava d’imbarcarsi per gli Stati Uniti. Dopo la separazione, quindi, rimane alle cure della madre, e di lui il padre si disinteresserà definitivamente. Ed infatti, da quel trauma, e per quell’indifferenza, Aldo non si riprenderà mai più e, dopo il decesso della madre, per oltre vent’anni finisce segretamente i suoi giorni alla clinica (Villa Igea a Modena) per malati mentali, sotto il solo nome di Aldo, mentre il cognome sarà meticolosamente omesso di proposito. Qui il PCI lo farà seguire, essenzialmente da Onelio Pini – un militante comunista che gli porta le sigarette e la Settimana Enigmistica; non a caso, Massimo Caprara,  segretario particolare di Togliatti durante vent’anni, quasi coetaneo di Aldo, anche a proposito di tale atteggiamento, osserverà che “la colpa maggiore di Togliatti è stata la disumanità “… Ed a conferma di questa oltremodo triste storia, ci sono due pubblicazioni: I FIGLI DI TOGLIATTI di Nunzia Manicardi ed UN’ALTRA PARTE DEL MONDO di Massimo Cirri, oltre al testo teatrale dal titolo NEL NOME DEL PADRE in cui il drammaturgo Luigi Lunari fa recitare Aldo Toglietti, insieme alla Rosemary Kennedy, sorella dei tre famosi John, Robert e Edward, fatta lobotomizzare dal patriarca Joseph.

Ma per tornare all’ Hotel Lux, dove la famiglia Ercoli (alias Togliatti) occupava l’alloggio N° 1,  nel Febbraio del 1941, dopo l’invasione della Russia da parte delle truppe naziste, tutti devono frettolosamente partire in convogli ferroviari improvvisati; ed alcuni attivisti scelti, coordinati fra gli altri anche dallo stesso Togliatti – che era già diventato un membro importante nell’ambito del Comunismo internazionale -, designati alla propaganda da far giungere ai rispettivi militanti comunisti dei propri Paesi di origine, mentre, in quel periodo, la censura era stata ridotta al minimo. Ebbene, con lo sfondamento delle linee di difesa sovietiche da parte dei nazisti, Mosca era stata evacuata e gli stranieri, insieme ad altri autoctoni privilegiati, erano stati trasferiti alla città fortezza di Ufa – capitale della Bacherai -, che da un giorno all’altro da 300.000 abitanti ne doveva ospitare il doppio. Il viaggio in treno durato diversi giorni, avveniva in vagoni privi delle più elementari necessarie installazioni igieniche e l’autrice descrive come le precarie conseguenze risultavano totalmente insopportabili.

In fine, dopo la battaglia di Stalingrado, con il destino della Germania nazista ormai segnato, quegli stranieri potevano rientrare all’Hotel Lux a rioccupare le proprie abitazioni. Naturalmente, alcuni erano mancati e nessuno osava farsi domande, perché solo parlarne poteva destare il sospetto di cospirare contro il regime di Stalin; ma, di solito, si supponeva che quelli che non erano ritornati potevano essere stati parte delle vittime dell’implacabile ed allucinante purga stalinista; nel frattempo l’autrice riprendeva la sua celebre stanza N° 271, in attesa della liberazione dell’Europa dagli impostori nazi-fascisti.

La Mayenburg, finalmente, a guerra conclusa, viene fatta rientrare in Austria dove assume incarichi precisi nell’ambito del Partito Comunista Austriaco, ma alla fine degli anni ’70, ormai vaccinata pure lei da quell’illusione, decide di pubblicare le sue memorie. Il saggio, come al solito, e come tutte le critiche discrete o dissimulate o, peggio ancora, palesi, non viene accolto favorevolmente dalla critica di sinistra che, in questi casi, non esita a ricorrere all’ostracismo come era avvenuto con le pubblicazioni di  OrwellCamusSilone ecc.

Insomma, questa è una di quelle numerose letture che certamente sono in grado di contribuire alla comprensione del funzionamento di quel deleterio modello collettivista, ed i criminosi delitti perpetrati durante il suo peggiore periodo della tragica e paranoica gestione stalinista, già denunciata dallo stesso successore di quel tiranno, ma che alcuni pochi nostalgici negano e vorrebbero ancora introdurre in Occidente, mentre in Ungheria, perfino alla birra della Heineken si vuole imporre che tolga quella stella rossa…

Ma per quale motivo ho iniziato questa recensione, facendo riferimento alla memoria? Perché recentemente è scomparso il caudillo dei Caraibi che, come nessun altro  impostore sulla crosta del Pianeta, ha mantenuto il potere nei suoi artigli per tanto tempo, mentre quei suoi poveri sudditi che non sono riusciti ad espatriare, continuano a subire la schiavitù della più crudele repressione; infatti, Fidel Castro, il quale, se non proprio nella stessa dimensione, ma certamente nei metodi, ha così bene saputo emulare il suo maestro ispiratore Stalin; ed ahimè, una buona parte di tutta una generazione, in compiacente connivenza di altrettanta parte degli ambigui mezzi mediatici mancini, non ha avuto il coraggio di condannare e denunciarne le sue perverse gesta per quasi sessant’anni. Tuttavia, una miriade di dissidenti di ogni livello culturale ed inclinazione, dopo aver subito le più umilianti torture, marcisce ancora oggi nelle sue carceri, infestate dai ratti e scarafaggi, quando quelli più scomodi, in maniera discreta, non sono ancora stati sommariamente eliminati con ogni genere di mezzi o metodi, non ultimo il lento avvelenamento. Per avere un’idea dei metodi messi in pratica nelle prigioni e nei campi di concentramento castristi è oltremodo utile la lettura di CONTRO OGNI SPERANZA  di Armando Valladares il quale ha trascorso, condannato a vent’anni di carcere per non aver accettato di esporre una targhetta che esaltava il Comunismo perché contro l’ateismo, preferiva conservare la sua fede cattolica. Dopo aver subito le peggiori torture ed umiliato in modo increscioso, era riuscito a far giungere i suoi versi scritti con schegge di legno su bucce di cipolla con il proprio sangue; avendo sensibilizzato il mondo letterario di buona parte dell’Occidente, alla fine, anche grazie all’intervento del presidente socialista francese – François Mitterand  -, è stato liberato. 

Non stupisce, pertanto il fatto che, al passaggio del suo feretro di Castro, si siano documentate chiaramente le silenziose moltitudini di quegli individui umiliati per tanti anni che, in maniera esemplarmente eloquente, senza più temerne le rabbiose reazioni del tiranno, hanno in maniera significativa, riscattando la propria dignità, voltandogli le spalle, mentre i mezzi di diffusione, vergognosamente, non ne hanno nemmeno accennato. Per questo motivo il saggio qui recensito, può servire ancora oggi da didattica lezione, affinché rimanga il registro di un periodo storico così drammatico che non dev’essere cancellato, come hanno cercato di cancellare il tragico ricordo delle foibe.